296° giorno – Una serie di fortunati eventi

Dovrebbe passare adesso il pullman ma non si vede…e se passasse dico…lo faccio il biglietto? I controllori mica lavorano alle 21:16 mi sa…e anche se mi beccassero poi…sono da solo in città, io e il cartone da macero fuori dai negozi, mi beccherei la ramanzina da solo in un pullman che il problema dell’essere beccati non sono i due spicci della multa e nemmeno l’ansia o l’adrenalina quando lo vedi salire con la porta dietro chiusa e lo sguardo da Robocop…no…è la vergogna di essere in pubblico in mezzo a 22 persone sedute, 65 in piedi ed 1 in carrozzina che ti guardano mentre fai la tua bella figura di merda stile bambino chiamato alla lavagna senza aver studiato.

21:18 e arriva. Completamente vuoto…lo sospettavo…luci al neon e ‘P’ luminosa li davanti, Penultimo Pullman prima del nulla serale, mi siedo in mezzo e mi stravacco, alla fine lo Pago quell’euro e trenta che per sto viaggio ne spenderanno almeno tre in gasolio, viaggiano in perdita da una certa in poi e non me la sento di rubare.

Stravolto.

Ho la testa che mi gira dalla mattina, avevo intenzione di starmene a casa almeno fino alle nove per cercare un nuovo baricentro gravitazionale per i miei pensieri standomene a letto ma troppe questioni sospese, lavori in corso, affari da sbrigare, tradizionali ritardi…roba che mi devasta ancora di più ora dopo ora ma le cose cambiano…mi ritrovo con una schiena il pomeriggio, quasi nuova e una serie di fortunati eventi che stamattina il programma era fisio per poi andare a fare delle foto ad un amico…calcetto, ma “forse piove” mi dice, meglio settimana prossima e quindi penso di fermarmi ed allenarmi con un altro amico ma quello “No…lavoro fino alle 22” e di stare da solo alla scala non ne ho proprio voglia, meglio andare in giro e fare un po’ di foto street che una rivista mi ha chiesto dieci foto per una serie e le mie son belle ma incomplete e devo lavorarci su per gloria e fama futura. Solo che poi incontro un amica e andiamo in libreria e parliamo, lei si fuma una sigaretta e parla di viaggi, si fanno due passi e si parla di viaggi, stiamo fermi davanti alla porta e si parla di viaggi. E si fan le sette. Ed è tardi. Ma rimango comunque in giro anche se non sono ‘confident’, la strada mi rifiuta, pochi scatti e pure brutti, poca gente e poco interessante o forse sono solo io il problema…ma continuo, prolungo fino al centro, temporeggio, entro nel solito bar ma con nuova barista mai vista prima e siamo completamente soli e si comincia con due parole e poi venti e poi duecento e finisce che sto li due ore a parlare di vita, morte, futuro, amore, pensieri, anarchia, lavoro e sogni finché non è ora di chiusura e nessuno è entrato o uscito e tutto è sospeso nel nulla e forse, in tutta la città… mondo…universo, ci siamo solo io e lei.

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290° giorno – Stamattina il ghiaccio sulla mia macchina assomigliava a rami di albero…

Ho troppe voci attorno e una specie di nausea che sento in pancia e nel naso e quando vado su dalla Capa dopo la chiamata d’emergenza, quattro fogli di depliant freschi di stampa in mano, rimango li in attesa davanti alla scrivania del caos coperta di fogli, graffettatrici e piccoli contenitori immaginando solo di lasciarmi cadere e schiantarmi svenuto sulla sua scrivania ma invece sto fermo e rigido mentre lei parla e parla e critica i testi e mi fa incazzare e innervosire anche se nemmeno l’ho scritta io quella roba…cose vecchie di trent’anni…e non ho nessuna cazzo di responsabilità per le stupidaggini segnate ma digrigno i denti, vorrei che andasse tutto bene, “si ottimo mandiamo in stampa” e via e che mi si lasci in pace e magari anche che mi si lasci cadere dritto per dritto a peso morto sul tavolo e dormire…ma lei continua a segnare e appuntare micro-correzioni scritte con la sua grafia che a stento si legge e c’è una specie di sonnolenza che mi prende a calci la testa, sale dai piedi e arriva al naso alla bocca agli occhi e alle sinapsi e divento nervoso quando entra altra gente e inizia a parlare ad alta voce, qualcuno telefona e il Faraone discute di prezzi e imbrogli e forniture a uneuroetrentacentesimi, il verniciatore parla in dialetto e c’è il Bruck dalla Germania e vorrei mettermi a gridare “Basta cazzo voglio silenzio!” e di colpo bum!, vuoto e bianco per un istante impercettibile, tutto che sparisce e adesso c’è il sole e quiete e un prato e un cielo e un albero di ulivo e il vento caldo che muove le fronde…io vestito comodo con nessuno che mi parla, chiede cose, fa richieste, pressa con tempi di consegna e liberatorie da firmare e pane da comprare con i soldi guadagnati e dimostrare a qualcuno qualcosa quando come perché con chi…solo stare li al sole con un filo di finocchio selvatico in bocca e non me ne frega un cazzo di dove sono e di che cosa stia succedendo o se si tratti solo di un sogno.

E invece sto qui. Sempre qui nell’ufficio più congestionato del mondo. In piedi con le cose che entrano ed escono dal cervello…e penso di essere esaurito..sono esaurito cazzo..e depresso e solo…e mi serve qualcuno a fianco come mi dicono ma io non sono apposto mi sa…chi se lo prende uno non apposto…che è da fuori che si vede quanto poco sono sano, che digrigno dentatura e stringo i pugni e sgrano gli occhi e faccio smorfie…chissà come ci sono diventato non apposto…forse è la scrittura o quando son caduto a parkour o una dieta squilibrata che lo diceva sempre mia madre “vedrai a non mangiare verdure che ti succede” e io me ne sbattevo altamente ed invece aveva ragione…tutte quelle fibre verduree che non ho assimilato da piccolo sarebbero tornate utili adesso, avrebbero tenuto unito i filamenti del mio pensiero ed invece ora, si stanno staccando pezzi di testa uno dietro l’altro e sto impazzendo…l’altra sera pure una mia amica cameriera me lo diceva mentre ero li nel tavolo che trangugiavo carboidrati senza fibre di verdura…”tu sei pazzo” diceva, ed era convinta della mia pazzia e dei miei occhi, pazzi anche quelli, e che dico cose da pazzo. Adesso son fuori dall’ufficio di controllo, nel sottomarino con di fronte il mio ventitrepollici di finestra sul mondo…cerco su internet cosa rende esauriti e pazzi e il web 2.0 mi risponde che se sono nevrastenico, facilmente affaticabile, depresso, coi nervi a pezzi, cefalee e non dormo bene, disturbi dell’attenzione, irritabile con modifiche emotivo-affettive, insicuro, sfiduciato, teso e iperemotivo e preoccupato, ipocondriaco, patofobico allora ce l’ho l’esaurimento…e ovviamente mi ritrovo in tutto e mi riscopro pure ipocondriaco che sta dentro la lista e io non mi ero accorto di esserlo ma in effetti quando sto a pensare a quel dolore lì e a quel dente là io mi preoccupo, mi preoccupo molto…e mi preoccupo anche dei malanni degli altri e scopro che pure io ho gli stessi sintomi loro e cosi scopro di avere anche la lebbra e la peste e una di quelle cazzo di malattie strane che fan grumi nel cervello, ti fanno andare a duemila i neuroni finché poi non esplode tutto e ho anche l’ansia e pure il menisco mi sa che è concio e ogni mattina quando mi guardo allo specchio vedo sempre che qualcosa non va…vene sottopelle e rughe strane sulla fronte e le occhiaie, tutti sintomi che si collegano e si intrecciano l’uno nell’altro fino ad un un unico punto, è davvero come dice la mia amica cameriera…io son pazzo, son pazzo sul serio e tanto vale chiedere direttamente come stanno le cose, senza filtri…

‘Sono pazzo?’

…e premo invio…e mi escono link ad un film mai sentito, discussioni di uno che ha la fissa dei grembiuli e collegamenti a forum femminili in cui manco entro…mi scontro con i limiti delle macchine, dagli in pasto questioni complesse e non sa più che pesci digitali pescare nella sua rete globale…e a quel punto vai sullo specifico…

“Emanuele Toscano è pazzo?’ scrivo allora…se ci fosse un’intelligenza segreta superiore che governa tutto come io credo, soffrendo anche di crisi paranoiche, la sto sfidando ad analizzare i miei dati e le mie parole e le mie foto, amori segreti quasi-confessati e finti-amori dichiarati, registrazioni archiviate dalla NSA, poesie e chat adolescenziali, frustrazioni e lacrime riprese da telecamere nascoste, per darmi una risposta su schermo. Adesso.

Ma quello mi vomita pagine che parlano di Grande Fratello e di artisti del gioiello, cantautori toscani, Casa Pound e ‘come capire il fascismo del terzo millennio’ e non so come e non so il perché…anzi, …forse è per quei grumi nel cranio di prima…mi viene un flash di stamattina, quando ho perso mezz’ora di lavoro per rimanere fuori dal cancello di casa a fotografare vetro e cofano del Lupo coperti di ghiaccio…

‘Stamattina il ghiaccio sulla mia macchina assomigliava a rami di albero, ti è mai capitato web 2.0?’

…che forse non mi conosce cosi bene ma di questo fenomeno fisico può dirmi di più.

Mi corregge l’ennesima volta, vomita inutilità apparenti ma ho a che fare con algoritmi e processori sub-atomici, super-computer raffreddati a liquido imparagonabili alla mia mente banale…da intelligenza superiore forse, vuole farmi capire che pongo domande sbagliate che non servono alla mia salvezza, come un Dio benevolo ed è nelle immagini che mi propone convinto che si trova la soluzione…c’è un dolce con della panna sopra, Road Runner della Warner Bros, un lago autunnale, grattacieli, uno striscione di polemica, una donna in bianco sdraiata in un bosco, delfini con tramonto sullo sfondo, una casa nel nulla.

Ma è solo dopo aver passato mezz’ora a guardarle cercandoci un senso, in un istante di lucidità tra telefonate e gente che martella…caos e rumore di motori elettrici, che trovo la mia risposta.

Pazzia

289° giorno – Addio compagna di avventure nel sottomarino

Le ho perdonato di avermi spaccato la schiena, non era colpa sua alla fine…arrivata a me dopo averne passate mille in condizioni pietose e subito ad assumersi il compito più gravoso…subire cento chili, i miei, in perenne movimento che mi agito per ogni cosa, mai soddisfatto della posizione e la maglietta si tira su e la chiappa mi fa male e accidenti cosi mi scappa da pisciare e sono nervoso e quella è una stronza e scatto tipo in preda ai raptus e se ho spazio faccio pure addominali ed esercizi e stretching e ci corro pure in giro da scemo tutto per otto-dieci-boh ore al giorno moltiplicato venti per dieci e dopo pochi giorni infatti, ecco la prima scontata operazione chirurgica, d’altronde è vecchia e la stavo davvero massacrando…riduzione della frattura del poggiabraccio di sinistra ceduto di schianto, il più fondamentale in una scrivania visto che la mano destra sta sempre sul mouse ma la sinistra si deve appoggiare da qualche parte, soprattutto nella mia sezione di sottomarino dove lo spazio scarseggia e tutte le superfici d’appoggio sono stupide, inaccessibile, scomode e puntute.

Ma la riduzione non è servita…traballava come un tavolo a due gambe, amputazione necessaria sentenzia il dottore e quindi spostamento del bracciolo di destra nella parte sinistra con saldatura a goccia e rivetti di supporto…e tutto sembrava andare bene fino ad un nuovo inaspettato crack…la povera spina dorsale si piega di colpo con un orrendo rumore di metallo che sfrigola a corredo, partono viti e schegge plastiche, si apre una crepa che fa saltare manopola e attacco dello schienale, un pezzo di copertura cade inerte al suolo privata di agganci, esplosi pure quelli. Sembra spezzata a metà e ciò la rende più reclinabile di una spavalda ventenne di facili costumi anni ‘ 70, con drammatiche conseguenze per la mia povera schiena…mi ritrovo a lavorare da sdraiato quaranta centimetri sotto il bordo della scrivania, sembro un Umpa Lumpa incazzato in azione di sabotaggio ma nonostante i reclami e i miei lamenti tutti sembravano alquanto divertiti del mio modo lavorare, mi guardano e ridono, come se mi divertissi un mondo a sembrare appeso a bordo scrivania o sdraiato in una brandina da ospedale.
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“Ma che fai…stai sdraiato?” dice la Capa sorridendo

“No è la sedia…dovrei cambiarla”

“Dillo di sopra” e io lo dico

“Ma che fai dormi?” dice il Faraone incazzato

“No è la sedia…dovrei cambiarla”

“Dillo di sopra” e io lo dico

E io lo dico pure un po’ di volte di sopra, ma la schiena comincia davvero a lamentarsi come un bambino affamato e si sa come funziona in certe ditte…alcune cose finiscono per essere dimenticate o scritte su un post-it giallo che viene ricoperto da altri ottantacinque post-it gialli il giorno stesso quindi provo a sistemarla per i cazzi miei che non si sa se poi mi arriverà davvero una sedia nuova, chissà quando, chissà come. Utilizzo la più grande invenzione dell’uomo…lo scotch…che finché hai una buona dose di scotch puoi fissare qualsiasi cosa a qualunque altra cosa e risolvere un sacco di problemi…io ci ho curato ferite e disastri infantili, hanno fatto compagnia ai miei vecchi occhiali per un sacco di tempo e credo che tengano assieme ancora un paio di miei biciclette. Stringo con la morsa compattando schienale seduta e pezzi in metallo e srotolo diciotto chilometri di nastro marrone…lo faccio passare ovunque facendo giri pure dove non necessario che abundare è meglio che deficere…quattro chili di scotch che forma una specie di pallone spigoloso e marrone sotto la sedia…ma è solo un azione temporanea in attesa della seconda grande operazione chirurgica…roba in grande stile, pianificata meticolosamente.

Prenoto il tempo del carpentiere della ditta qualche giorno dopo, una mattina senza rompicoglioni attorno. Smontiamo i componenti, saldiamo le spaccatura rinforzando con lamine di ferro…poi infiliamo viti e rondelle e saldiamo pure quelle, poi riattacchiamo i pezzi e infiliamo altre viti e rondelle e bulloni e saldiamo ancora e mettiamo dei sostegni per il bracciolo, saldati…e sostegni laterali a T, saldati…e alla manopola tagliamo l’attacco in ferro cinese e ci mettiamo dentro un’enorme vite nera che guarda un po’, blocchiamo nella posizione più rigida e interna e saldiamo pure quella a tutto quel blocco di metallo fuso che ormai si è raffreddato…ora non è più una sedia ma un tank, pesa trentaquattro chili in più, a stento si riesce a spingere e lo schienale è cosi rigido che ci potrei fare le verticali tenendo un paio di pony sotto le ascelle e mi metto li, tutto soddisfatto con la rediviva vecchia amica pronto ad affrontare altri anni di onorato servizio.

Poi arrivo, giorni dopo…ed ecco sul mio pezzo di sottomarino una scatola gigante…e io mi chiedo cosa ci sia dentro…non è che mi hanno licenziato e inscatolato tutte le mie cose stile film americani?

Ma sbuca una faccia sorridente da dietro il mio monitor “Ti ho comprato la sedia!” mi grida contenta la segretaria…e io apro il pacco e inizio a montarla senza capirci un cazzo all’inizio anche perché è dai tempi degli Ovetti Kinder che odio rifarmi agli schemi, piuttosto le cose le monto sbagliate e storte…e sono li, che smanetto e avvito e attacco viti e incastro pezzi di plastica su sedili sagomati e schienale ergonomico, cinque rotelle high-speed, braccioli design con regolazioni triple basculanti e tutti mi vedono e mi dicono “Sieda nuova!Sieda nuova! Sei contento eh?” e io che sorrido e poi guardo la vecchia amica che chissà che fine farà e non riesco a non pensare che no, non sono poi cosi contento.

fotor_(10)

261° giorno – Nebbia di un giorno in cui nasco di nuovo

Di solito non penso e non scrivo la mattina…i pensieri e i sogni della notte sono ancora mischiati e confusi e i vari sistemi di controllo fanno partire tutti quei piccoli programmini che si chiamano ansie, paure e sogni nel cassetto…ma ‘di solito’ appunto…è che oggi sono uscito senza gli auricolari che hanno il compito di distrarmi dal riavvio del ‘Me Stesso’ mentre gli occhi si concentrano sui piedi e la strada umida che sta sotto nei 400 metri che mi separano dalla mia sedia monca e i colleghi e il lavoro di un nuovo giorno.

Guardavo Masterchef ieri, c’era un concorrente anziano che si giustificava di un piatto non al massimo e prestazioni non all’altezza “Oggi sono nato strano” dice…era più o meno una frase del genere.

“Tu nasci ogni giorno?” gli chiede Joe

“Si…io nasco ogni giorno” risponde fiero il vecchio.

Io trovo che sia una frase di una bellezza straordinaria…magari frutto di un errore che forse ha sbagliato a parlare per poi stare al gioco non so, nemmeno importa…è una frase o meglio, un concetto bellissimo…davvero più adatto ad un vecchio forse, con ancora tanta passione ma relativamente pochi giorni davanti…rinascere ogni giorno, sapere che oggi può essere il giorno giusto o quello più sbagliato della tua vita.
Ho passato tanti anni di gioventù a non combinare relativamente nulla, una specie di bella addormentata ma brutta e con la barba…se sommassi i giorni unici di cui ho ricordi vividi di vita vissuta seriamente negli ultimi anni ne risulterebbe una sommatoria proprio bassa e alle tre cifre di certo non ci arrivo…quando le ore sono uguali l’una con l’altra, fossero anche milioni è come moltiplicare per zero, non son servite a nulla ed è il rimpianto che mi affligge di più perché ero…sono…stupido e non pensavo…penso…al tempo che non torna più indietro ed è da li che si genera tutta la malinconia di cui ho serbatoi e cisterne cosi ricolme che ogni goccia nuova fa traboccare quella melassa densa dai toni sepia.

“Facciamo finta di credere a questa magia del nasco ogni giorno” mi dico, mentre la nebbia consuma le luci e le case e le macchine parcheggiate e ci sono solo io che cammino in un paese morto…”mi sveglio…a colazione mangio anche un pezzo di cioccolato alle nocciole…il cioccolato mette allegria…non dovrei farlo ma potrei smaltirlo a lavoro…potrei fare venti volte le scale come obiettivo…non l’ho mai fatto…a pranzo cucino qualcosa di veloce invece di arrangiarmi come al solito…ho la casa piena di libri di cucina e non ho mai combinato nulla…e poi a lavoro ci torno facendo un’altra strada…potrei sbirciare dentro quella nuova ditta che han costruito affianco ai nostri vicini e acerrimi nemici…manco so cosa fanno…poi vabbé…Il lavoro è il lavoro…non si scappa…ma il pomeriggio dura poco e scivola via…pensavo di tornare a casa e riposarmi un po’ e allenarmi per poi farmi una doccia e guardarmi un film…ma potrei tirare fuori subito il sacco da boxe finché c’è ancora un filo di luce e allenarmi senza perdere un’ora sopra un letto…mangiare qualcosina…chiamare un amico e proporgli di andare al Twiggy che oggi c’è una specie di cover band del Boss…si beve qualcosa…si fanno due chiacchiere…si torna a casa a riposare e domani si rinasce di nuovo…forse la nebbia se ne sarà andata o forse rimarrà sulle strade come oggi…potrei fare foto…chiedere in prestito l’ennesima volta il cavalletto da Mirko…prendere un treno e andare a scattare a Como…chiamare Antonio che non lo sento da un po’…andare dalla mia barista Polacca…iniziare ad imparare un’altra lingua che ho la fissa del russo da un po’ di tempo…la sera fare un salto al corso di fotografia di Marco…buttarci dentro due parole finché le luci del locale non si spengono…riabbracciare il cuscino…lenzuola come placenta…chiudere gli occhi e aspettare una nuova rinascita e un nuovo giorno…”

Sapete che c’è…di solito son giochetti e discorsi che tutti noi ci facciamo spesso, in testa suonano come Mozart. Un mio amico una volta mi disse “oggi ho fatto una riunione con me stesso” e lui quando di solito partecipe a questi discorsi tra sé e sé prende sempre grosse decisioni, finali, risolutive, dolorose. La mia voce invece parla in continuazione ed è un po’ come essere sposati, non mi do molto ascolto…mi sono deluso cosi tante volte…sono andato contro le mie imposizioni pure vergognandomi, che non mi prendo più nemmeno sul serio…è come quando a trent’anni tua madre ti sgrida, entra da una parte ed esce dall’altra, nemmeno l’hai ascoltata alla fine anche se ti ferisce comunque il fatto che ce l’abbia con te. Però, forse per me ancora non esistono ferite abbastanza dolorose da farmi capire quando cambiare passo serve per forza, quando il crederci a parole non basta più…nonostante il mio impegno nel vivere davvero il più che posso, e vi giuro che ci sto davvero provando, sono ancora ben lontano dal rinascere…sembra che la pigrizia e quei barili di malinconia, quel corpo imperfetto e insicuro remino contro tutto il bene che posso farmi nel credere nei concetti, nelle belle frasi e nelle idee, nelle riunioni con me stesso e le parole urlate negli specchi.

E’ molto stupido questo guscio esterno malandato, questa macchina in manutenzione perenne e la volontà è pure una gran una troia lasciatemelo dire…ti prende e ti lascia in continuazione…e poi, l’ho sempre saputo che quello più intelligente dei due ‘me’ sta dentro il cranio e la convivenza è difficile quando credi che abbia quasi sempre ragione anche se il dubbio, prima di addormentarmi, rimane sempre…parla tanto quello lì, forse troppo…non mi lascia in pace un attimo.

E se fosse lui il problema?

250° giorno – Sapori

La casa è quasi vuota, indice di capodanno agli sgoccioli e qualcuno degli ospiti è pure già tornato a lavoro…poi ci sono i miei pezzi con qualità in picchiata ma anche le mie energie mentali sono agli sgoccioli e il talento ne va ghiotto…a lui serve nutrirsi e solo quelle posso dargli, non fumo abbastanza, non mi drogo abbastanza, non scopo abbastanza e non bevo abbastanza per dargli altro…adrenalina ed endorfine non sono abbastanza. Domani esauriremo la dispensa, quello che c’è rimasto “si finisce!” compresi biscotti wurstel pasta sughi pronti, valigie in macchina e ‘home sweet home’ macchina diretta a nord-ovest verso neve a quanto dicono e alla ripresa della sopravvivenza ‘otto ore a vedere le stesse facce problemi crepe nel muro di fronte ragnatele agli angoli appunti scritti su post it gialli cosi per sei mesi alzarsi dalla sedia ma che almeno adesso è stata sistemata con la saldatura si e gli manca ancora un bracciolo ma è meglio e tu ti alzi appunto e fai su e giù compiti consegnati e compiti presi fatti bene male controvoglia oltre tempo massimo o in perfetta puntualità e ritornare ogni giorno da moltiplicare poi per trecentoventi e poi per trenta per conoscere il numero che abbiamo nella fila del purgatorio cosi tutto di fila con le mattine e routine pomeriggio e routine sera e routine confidando che in quelle micro particelle di tempo libero che ti rimangono tu possa scavare raschiare distillare estrarre sprint genetico per fare tutte quelle cose che alimentano le speranze e sogni nel cassetto e desideri nascosti e amori inconfessabili come per Lei e la forza per saltare la corda con il freddo e il sudore che congela e si trasforma in fumi bianchi di fatica l’aprire un libro mai letto entrare ed ordinare da bere in un nuovo bar pregando che i numeri digitali del tuo conto bancario non siano tutti uguali e pari a zero che si sa delle spese e si sa delle difficoltà inquietudini tasse imprevisti dalle sigle strane TARES o IMU cavolo come bestie leggendarie draghi hydra minotauri roba demoniaca che fanno paura alla gente che un tempo c’erano fruste e pistole alla tempia ma questo è meglio e legale le famiglie e le pere a tavola mancanti è la nuova tecnica segreta dei governi per controllare felicità e paura come si fa con i cani per farci invecchiare sotto controllo con ossi da sgranocchiare quando i padroni mangiano la polpa e noi sotto il tavolo con l’osso felici e contenti per dieci anni moltiplicati per sette e poi dentro un buco fatto in giardino mal curato spesso senza nome sopra e ricordato da pochi che di cani famosi davvero io ricordo Balto Hachiko e quello russo che hanno spedito sullo spazio mentre per Lessie e commisario Rex ne usavano mille tutte uguali’.

Si sente che è finita per i letti vuoti i rumori spenti di gente stanca che dorme…sono le quattro anche oggi…io vorrei scriverle ma non posso…è sbagliato…parlo e parlo ma mi sono fatto un paio di promesse pure io. Si sente che è finita da giochi chiusi e i piatti puliti e messi via, dalla stanchezza degli occhi. Rimarrà il ricordo anche di questi giorni…purtroppo è il dramma del sentire il sapore ed essere intelligenti, la percezione di quel momento in cui la bocca e la mente non comunicano più e quel gusto e quegli aromi spariscono subito e il cervello si rattrista, le endorfine si vaporizzano. Non c’è soluzione al bianco e nero della vita ai cicli scontati, agli Alpha e omega che si separano e si incontrano. Ho paura. Ma penso ai bocconi…’mangiare’ di piu. Ricordarmi i sapori.

235° giorno – Dovrei smettere…

Un mio caro amico, quello “che è da fuori che lo vedi” ( * ) mi invita a cliccare mi piace su una pagina…è di un tizio che scrive un diario, ogni giorno e tiene pure un sito…leggo i primi pezzi e fanno cagare, lo stile è pessimo per non dire inesistente, sembra che non abbia idea di come iniziare…ha qualche picco ogni tanto ma si contraddice…è un po’ ipocrita, scostante nelle parole e nei pensieri, uno sbandato e pure la pagina non è pure tenuta granché bene… link automatizzati senz’anima incollati da super-server calcolatori, nessun confronto e nessun dialogo…nessun commento che a sto punto la domanda me la faccio…chissà se legge davvero…la gente…se davvero legge questa roba….la mia roba.

Scrivere ogni giorno è uno schifo. Complicato, perché come dice Charles, si scrive quando stai molto bene o molto male e io spesso mi ritrovo nel mezzo o un poco sopra…o un poco sotto…quindi mi costringo…cosa può uscire di buono da questo? Logorante, i pensieri si moltiplicano e gli occhi appena svegli vanno a scandagliare ogni cosa per immagazzinare che non si sa mai….se va male e alle 23 fissi il soffitto, col vuoto dentro tutti i tuoi spazi, puoi usare il cadavere di quell’insetto morto sul vetro per scrivere di qualcosa, o parlare di quel vecchio caduto dalle scale o il fatto che ami qualcuno di impossibile, sempre che sia di ‘qualcuno’ che tu sia innamorato e non di un ‘qualcosa’ o un ‘perché’ o solo di un ‘quando’. L’ossessione per raffinare lo stile e distinguerti…ti mangia il cervello…vai in giro e leggi e chiunque scriva un po’ bene diventa un nemico, parti con la conta delle righe altrui, media degli articoli, conteggio dei giorni manco avessi il ciclo…come se dovesse fottermene molto di questi, di inesistenti concorrenti…per cosa poi…che premio? Soldi? Folle urlanti? Groupies da monta? Non c’è nulla da conquistare, è solo pura ossessione. Ossessione. Per verbi e ripetizioni, ossessione per licenze poetiche, ossessione per sinonimi e contrari, ossessione su argomenti e giochi di parole, ossessioni per ‘e’ accentate nel modo giusto. Tentativi di tenersi alla larga dei cliché, obbligo di calibrarti per chi ti legge…

“Ci sono sia amici che sconosciuti quindi mai nomi…o dire cose troppo vere o troppo false ma mentire sempre e comunque in un modo o nell’altro”

…tra le ossessioni e i pezzi di carta, che uno pensa che sia la via di fuga perfetta…la carta e la penna, scudo e spada…ma son pareti lisce…senza porte…che poi, tutto sommato, è un po’ com’è la mia vita davvero…pareti, carta e cartone, bianco e vuoto in giro…normale che la scrittura lo rifletta…che se viene da qualche parte lì in fondo, dove nasce tutto questo non è che ci puoi fare molto a meno di non inventarti storie false, di successi che non ci sono, di posti mai visti, persone che non esistono, romanzi mai scritti e amori poi, che manco ci credi all’amore.

Esagero lo so…tranquilli, succede quando non sono nemmeno costretto a stare attento a dove metto i piedi e posso anche solo guardare fisso in avanti finché la macchina non si ferma a destinazione, uno, due minuti dopo…la mente corre e crea catene su catene prendendo il peggio…ci rimbalzo periodicamente in queste serate da insofferenza e quella diventa nervoso e il nervoso fame ed entrando in casa già si mischia con la rabbia…Madre è ancora malaticcia ma come ogni sera prepara da mangiare orgogliosa, saluto e me ne vado di là che sento il diavolo che vuole lamentarsi e dire “cavolo speravo fosse pronto…ho fame cazzo” ma mi trattengo, sarebbe ingiusto ed è una cosa che sto riuscendo a combattere…il buttare addosso gli altri i momenti di estremo me stesso dico, quando divento odioso…quando sono una merda. Mi concentro sulla fame, che a sto punto della storia umana ancora uccide meno della rabbia e dell’ignoranza e penso che voglio la pizza, anche a pranzo era cosi, e a ragionarci, ora che il futuro è il nuovo presente, basta una manciata di numeri e me la porterebbero pure in camera e “Buon appetito monsieur sono seieuroecinquanta”…chissà perché poi, quando penso a qualcuno che parla francese ha sempre il frac, papillon e baffetti del cazzo, anche se fa il fattorino per un pizzaiolo egiziano e viene in motorino, ha una scatola gialla dietro e la gente tenta di investirlo.

“Se volete è pronto!” urlano da di là, che più o meno significa ‘salsiccia con contorno di roba verde e caraffa d’acqua in tavola’ e quest’ultima a proposito, in questi giorni ha un sapore strano del tipo roccia sgretolata, polvere …chissà che ci fanno in quell’acquedotto…è sempre stata buona l’acqua ma d’altronde si può dire pure di persone e amori e vestiti, “son sempre stati buoni-cari-utili prima ed adesso son degli stronzi-merde-stracci”. Mangio, ma senza gusto…eppure tutto è sano, fresco e l’insalata e il maiale c’avevano il GPS, ai piani alti sanno quando sono nate le foglie e quando gli si è arricciato la prima volta il codino alla bestia, sanno che forbici hanno usato per sradicare il fusto e con che cosa hanno tagliato il collo al maialino…è tutto schedato e certificato e “Stanne certo…lo curavamo da tempo quel maiale e quella lattuga…non c’è nulla di strano in quella roba”

Bhe allora sono io. Io che non esco nemmeno stasera. Io che non trovo nessuno che mi entusiasmi. Io che non entusiasmo nessuno. Io che ieri stavo bene e oggi forse penso che fingevo. Io che non avevo fame “mi bastano due cracker” e che adesso “ordino una pizza”…franco-egiziana. Io carico, io depresso. Io confuso ma talentuoso. Io certo di non avere nulla di speciale. Io che non dormo e oggi un’ora di ritardo a lavoro. Io che credo di poter dare ancora tanto ma la sera “dentro non c’è nulla”. Io che scrivo perché amo farlo e io che vorrei cancellare tutto e maledico Murakami, Dick, Asimomov, Bukowski e quella agenda, la penna nera, il web, le poesie…io che vorrei vivere di pensieri semplici e matematica base…i conti facili…senza giochetti, trucchi, segreti, ossessioni, occhi, bozze, fogli di brutta, psicosi da storia, finali da ricercare in ricordi dimenticati, dialoghi, intelligenza, brillantezza…lasciare tutto…smettere di scrivere. Io che vorrei tornare a me…tornare a “Io…”.

( * ) : 116° giorno – Outside

228° giorno – Pessimo

La routine della pausa pranzo parte sempre dalle stesse azioni e parole, esco dall’auto e “Ci vediamo dopo” dice Teo e “A dopo” dico io, chiavi per cancello-portone-porta, quando entro butto la giacca sul divano lanciandola dalla porta della sala, accendo la TV su Italia 1 per un po’ di Studio Sport che mi faccia compagnia sonora anche se i servizi li odio…tentano di esaltare il pubblico, fanno tacere il giornalista per lasciare voce a telecronisti ultras che raccontano partite sbraitando, urlando soprannomi, ripetendo “GOOOL!” con pitch a frequenza rompighiaccio.

La cucina è tutta fatta di legno, piano bianco segnato dalla mia pigrizia che mai una volta che tiri fuori il tagliere per affettare le cose, credo sempre di potermi fermare qualche millimetro prima ed invece no, “Tac!” e solco. Saccheggio cose a caso dal frigorifero ormai vecchio e stanco…esploro ripiani e griglie alla ricerca di derivati del maiale, fette di qualcosa che per una delle sacre leggi dell’universo conosciuto, qualunque oggetto tra due pezzi di pane diventa un panino commestibile,fossero pure barre d’uranio, sempre. Malsana abitudine di mangiare poco e male, disordini alimentari e mal di pancia, finisco col riempire lo stomaco in qualche modo senza logica…un barbone che rovista nelle discariche e butta dentro un sacchetto di plastica…trangugio veloce come un’oca, bicchierone di qualsiasi liquido in giro e in 3 minuti il pranzo è finito, indigeribile.

Sulla poltrona ci sono ancora scatole, rimasugli, carta da imballaggio dei pendentipallinedecori dell’albero di Natale. Le sposto sul divano che il tavolo è ormai un laboratorio per creazioni da mercatini, regali, pacchetti, nastri, cianfrusaglie, UHU colla in stick, cartone, millerighe, velina, stoffa…non c’è più spazio. Finisco il trasloco e mi siedo. Ci metto qualche secondo a capire che sono nel silenzio assoluto, le bocche dei giornalisti si muovono ma non esce un suono.

“Ahhhhhhh” dico.

Mi sento. Ci sento…

…quindi il problema non sono io ma la scatola nera che mi sta a 45° gradi dalla faccia che come al solito, sto seduto storto per cui mi alzo e opero molto violentemente su tasti e prese Scart, cavi che non c’entrano nulla…provo anche con gli schiaffi sul fianco che so che non funzionano ma credo sia una pratica più esoterica che scientifica, con un suo perchè ma nulla…quindi passo alle combinazioni di tasti premuti che nella mia mente dovrebbero avere senso, tipo “SEARCH+VOL” o ancora “PROGRAM+MENU+MUTE”…niente di niente.

Comincio a pensare che la televisione sia stanca di vivere cosi, subire giorno dopo giorno solo TG e Studio-Stronzate e mai un film decente…quindi fa come il bambino che della scuola non ne vuole sapere, si inventa le malattie, sfrega il termometro a mercurio sulle coperte per tirare fuori poco ipotetici 39.5° di febbre. Ieri non ne voleva sapere di schiodarsi dall’uno, che noi i canali li chiamiamo per numeri, mai per nome. Due giorni fa non c’era verso di sintonizzarla su AV al punto che dopo trentasette diversi tentativi ho lasciato perdere del tutto, come adesso…che sto li a fissare impotente quelle facce silenziose…esperienza strana…perché mi credo tanto diverso ma appena qualcosa interrompe la mia vita fatta di microschemi e piccole abitudini mi ritrovo spaesato a chiedermi come il più puro dei ragionieri “Che cazzo faccio adesso?” che ho venti minuti di pausa davanti e non so mica cosa si possa fare in questi venti minuti non di tempo normale ma tempo di routine-di-pausa-pranzo e di ributtarmi sul cellulare a farmi i cazzi degli altri, infilarmi nel grigio altrui, non ne ho voglia…è una robaccia che mi sta rovinando la vita credo quindi, improvviso e prendo un libro di Charles e comincio a leggere cambiando pure poltrona, ora sto sul cesso.

C’è lui che viene richiamato da due morti dell’ufficio postale…hanno scoperto che scrive roba sconcia sulla rivista ‘Open Pussy’, dove campeggia un cazzo gigante con le gambe in copertina, e se ne sta li in un ufficio grigio, a subire critiche e domande da due impiegati statali del cazzo benvestiti e impostati, a cinquant’anni, vecchio, stanco, depravato, indifferente, sconfitto dalla vita e dal peso del mondo e non so perché, ma mi viene in mente mio padre…ieri..che mi chiama in sala e mi dice la sua idea per spingere le sue creazioni…in che canali cercare…e io che quasi stizzito, con la voce un po’ più alta come succede sempre quando sono nervoso, gli dico “Non può funzionare!” e “E’ molto complicato…difficile…impossibile…non si può fare…ma va”, tutte frasi spezza discorso-gambe-passione-speranza e ora che ci ripenso, mi chiedo perché tentare di distruggere un suo sogno per quanto piccolo…facendo il meschino senza diritto, come se volessi togliere ancora, raschiare il fondo dal barile di una vita votata al duro lavoro, al risparmio, al crescere una famiglia nella sicurezza, cibo in tavola,  tetto sulla testa…la mia testa.

Avrei dovuto ascoltare e discutere, impegnarmi anche per lui, provarci assieme, dare un cazzo di minimo sostegno cazzo…ed invece no.

A volte riesco ad essere davvero terribile.

227° giorno – Virus

Era un casino stamattina con l’invasione finlandese, che te l’immagini con macchine da rally, alito allo xilitolo, tre metri tutti biondi e squadrati e invece sfere di carne, pelati, ricci dai capelli neri e che si strafogano di Lindor dall’irresistibile scioglievolezza. Faraone e Capa sembrano felici il che significa che sta qua è gente che assume altra gente per contare gli zeri del conto in banca e spiega moltissimo-benissimo la tiratura a lucido del mondezzaio solito, che mi son trovato sorpreso a scoprire della gomma gialla sui tavoli da lavoro, di solito pieni di ogni robaccia metallico-plastica esistente…non l’avevo mai visto il ripiano.

“Tu?” faccio a Teo
“Qualche anno fa…” risponde

Macchine tutte accese e funzionanti, immagino le luci degli alberi di Natale del quartiere che vanno a mezzo servizio, ordine e pulizia, tutti che fanno finta di lavorare meglio del solito e pure io, anche se nel sottomarino poi ci sto ben poco, vado spesso su in ufficio a controllare l’ultima buffonata, una fiera virtuale a cui partecipiamo assieme a gente che a ste cose non sono avezzi per niente, vanno in giro con i loro pupazzi camminando all’indietro, ruotando su se stessi tra gli stand 3d ed è tutto orrendo e pittoresco, pare una raccolta di casi gravi di esorcismo, una baracconata dell’orrore. Attorno a me, la gente vera corre e sbraita, che la felicità e la tranquillità sono solo una facciata per il nobile stato della Finlandia ma in verità qua dentro è la solita guerra.

Quando ridiscendo in plancia, succede poi che qualcosa scatena la furia del Faraone, nonostante le mille macchine che i nordici ci comprano per la felicità di tutti. Pare che ci sia in giro un Virus. Comparso dal nulla sulle nuove macchine e subito parte la lotta all’infestazione software, le bestemmie volano mentre si forma il Gran Tribunale delle Colpe. Chiavette analizzate che ti senti come all’aeroporto di Baghdad ed è la sesta volta che i sensori suonano, speri che non sia la tua.

Io ne ho tre. Rischio.

Passo in consegna al softwerista, sudore freddo e intanto stai a pensare se sia possibile che si sia infilato qualche ospite e quando…magari quel giorno che ti serviva quel crack li, per quel programma illegale la…e stai a rimuginare per mille neuro-istanti quando poi, tempo venti secondi e il verdetto è servito.

“Sei pulito”

Sospiro di sollievo. Dieci minuti dopo, tra le tensioni della gente, che si guardano come ne ‘La Cosa’, salta fuori che un pc in mezzo alla ditta, denominato “la puttana” è un lebbrosaio e non ci si spiega come. Quando esco, che pomeriggio ho roba da fare, sta partendo il gioco più vecchio del mondo, lo ‘scaricabarile’.

Mi allaccio la giacca e penso a quanto andrà avanti questa spy story. Magari parte pure la rissa.

E domani c’è pure la cena aziendale…

222° giorno – Ventuno neon illuminano i pensieri della sera

Mi sento poco producente in questa tranche pomeridiana, nonostante la mattinata intensa e quella della ISO 9001, beltà minuta mamma di due bimbi, sui quaranta, vocina graziosa, corpo da ventenne su cui tutti noi fantastichiamo e giudichiamo in fantasie estreme, battutacce, dialoghi sconci ipotetici. 

In questo stato di bradipismo auto-indotto mi agito sulla sedia con lo schienale ormai quasi orizzontale, che l’unico pensiero che rimbalza nel cranio è quello di aspettare che tutto finisca il prima possibile ma comunque seduto comodo. Dovrei impormi con Faraone e Capa, su ai piani alti…farmene comprare una nuova, di sedia…ne va della mia schiena, la salute, la postura che si traduce in camminare storto, sembrare paraplegico, emarginato dalla società, scarsamente attraente per donnine ISO 9001 cresciute, gobbo, con le anche disassate e poi, di conseguenza, triste, depresso, i vestiti che non ti stanno, poca voglia di uscire, bottiglie a domicilio di Whisky Four Roses da discount. 

Forse esagero…dev’essere tutto dettato dal sentirmi con la coscienza poco pulita visto che sto rubando lo stipendio e dovrei uscire dalla ditta per esser rispettabile, smetterla di fissare finestre che apro e chiudo senza leggere facendo click su pezzi di software bianchi senza bottoni, osservando spie luminose rosso acceso di stufette e compartimenti elettrici che diffondono radiazioni e calore con effetto soporifero. Faccio un passo verso una parvenza di vitalità, ma non di decenza, e scrivo ad una mia amica, anche se abbiamo già chiacchierato abbastanza ieri notte…e questa mattina…e nel primo pomeriggio e il giorno prima pure e quello prima ancora pure. Mi scrive che sta pranzando solo ora, che l’uni è pesante, che le tocca pure lavorare il pomeriggio nonostante sia una mezza giornata speciale e io le rispondo che tanto vorrei la pace nel mondo, cielo blu con veloci nuvole bianche e sole splendente, l’odore di fieno, appisolato sul giardino del vicino con l’erba più verde…eredità e pace alla sua buon’anima, un bastoncino conficcato per terra, un filo che si srotola da quella porzione di ramo di betulla fino al cielo, aquilone rosso, ogni tanto ombra, rumore d’acqua a sedici decibel. Poi, le dico di pranzare pure in tranquillità che io ora ho da lavorare duro da vero professionista serio con tabelle, scadenze, sottoposti a cui gridare ordini da una scrivania in cui io appoggio i piedi, sdraiato su una sedia dallo schienale quasi orizzontale ma non perché scassata ma grazie a servo-meccanismi elettrici costosi, progettati apposta per auto-modellare cuscini con il mio culo, la schiena storta, la nuca pelata, la brutta faccia, l’ambizione, l’ego che cerca spazio fra le costole, le bugie che tengo nascoste da qualche parte sui fianchi.

Infilo il telefono in tasca, apro un file, temporeggio, dò un’occhiata. Richiudo. Ci ho provato.

Spento. Mi passo la mano sulla nuca e sulla testa alla ricerca di residui di capelli più duri degli altri che mi diano illusione di potenziale ricrescita futura…risvegliarmi con un pezzo di chioma in più mi garberebbe, ma anche risvegliarmi in compagnia, in una casa comprata da me, con un gatto mio, elettrodomestici moderni anni ’50 e rovere…mi piace il rovere…il rovere è bello. Mi passo la mano sulla barba a due lunghezze, li sul collo dimentico di farla da una settimana, mentre osservo l’orologio digitale inchiodato da venti minuti sulla stessa ora, sensazione di quieto nervosismo e fastidioso far nulla e come al solito, finisce che la prostata pensa per me.

“Vai al cesso” mi dice, “hai un disperato bisogno di pisciare” insiste.

Mi alzo, scendo le scale, “cosi mi sveglio” mi dico. Entro nello spogliatoio e vado per fare quello che devo fare ma tanto è inutile, era solo una finzione subconscia e mi ritrovo infilato in un cubicolo con luce a lampadina a fissare il muro, puzza atroce nonostante sia stato pulito dall’impresa nel pomeriggio, come una di quelle persone belle fuori e infernali dentro. Mi lavo le mani perché è cosi che si fa, che tu pisci o non pisci, che ti tocchi il bigolo oppure no, polverina bianca che quando vai ad asciugartele ti accorgi che te ne sono rimaste delle chiazzette da qualche parte quindi ancora acqua e poi finalmente te le asciughi, unavoltaemezza di getto-aria calda anche se sto diventando bravo, quasi me ne basta una sola mandata. 

La gita al cesso non serve a nulla, continuo a sentirmi una scatola vuota in attesa della spedizione delle 19:30, i ragazzi tentano di parlarmi ma rinunciano, mi salutano e se ne vanno, i rumori quasi spariscono e mi sento come in un film americano, con l’avvocato che fa il figo da solo in ufficio di notte ma con scatole e macchina sullo sfondo invece dello skyline di Chicago. Manca poco ormai, il cervello è definitivamente in quasi-stand-by…dovrebbe esserci pure una spia da qualche parte, forse sul petto…come quella della mia TV che spengo dal letto e che per pigrizia non mi alzo ad uccidere per far terminare quello spreco di onde luminose…la lascio fissa a ciucciare Watt/ora e mi giro dall’altra parte nel letto e non la guardo più come a volte, faccio con le persone. 

Si parlava svogliatamente di una nostra amica cameriera prima…mi è venuto da pensare che sono tipo due mesi che non la sento…perchè poi, non lo so. Non è nemmeno per il classico gioco delle resistenze “non la cerco perchè lei non mi cerca”…oppure il “cazzo quanto odio quando non mi rispondono…sai che ti dico vaffanculo” no…sembra solo che lo spazio in memoria sia finito, me ne dimentico e non parlo solo di lei. Mi sento uno sceneggiatore di una serie che non sa più gestire i suoi attori e che fa confusione, tralascia particolare, crea buchi nella trama.

Da mezzo sdraiato mentre fisso i ventuno neon bianchi appesi a quattrometrietrentotto dal terreno, mi riprometto che “stasera sento un po’ come sta”.

Ma mento a me stesso, lo so benissimo.

219° giorno – Asociale

Esco dal cancello e trovo un uomo nero infilato in un furgone bianco di una qualche marca coreana del cazzo. Lo fisso e lui mi fissa per qualche istante, distogliendo gli occhi da una cartellina con bloccafogli in plastica nera. Ha un cappellino ridicolmente colorato giallo e rosso, maglietta dagli stessi colori e sembra vagamente un corriere espresso penso, e mentre cammino per andare a lavoro pure in leggero anticipo penso anche che magari deve consegnare un pacco a qualcuno tra le quattro famiglie della mia reggia beige. Svolto a sinistra costeggiando il meccanico dei camion, sempre pensando e pensando a mille cose, anche che io un pacco lo aspettavo davvero e probabilmente quell’uomo nero cercava proprio me ora che ci penso. Cazzo.

A lavoro entro e timbro…ho fatto un casino con questo foglietto, sarà impossibile fare il calcolo. Vedete, stamattina volevo starmene a casa e sistemare due questioni con il fisco italiano davvero stupide…roba di rimborsi che sarebbero risolvibili con una chiamata e io che gli do un codice IBAN e invece no…tutto deve essere firmato in quattro copie, certificato, registrato, classificato in un preciso edificio della mia grigia città. Quindi, sto li nel letto che mi godo un insolito 8:43 sotto le coperte quando ecco un flash…

“La conferenza!”

Cazzo, mi stavo completamente dimenticando che la Capa ha buttato il mio nome su una mail di ‘conferma partecipazione’ ad una conferenza online su marketing blablabla, solita roba con guru tecno-sciamani, cercatori di Digital-oro, personal trainer della motivazione. Mi alzo, mangio e mi lavo a 402 Megaparsec al secondo, mi fiondo a lavoro mentre la mente si chiede “era alle nove? Alle dieci?”

Timbro alle 9:13, sulla tastiera la mail dell’evento stampata…’ore 14:00′ leggo. Potevo farmi i cazzi miei in tranquillità a quanto pare ma tant’è, me lo merito. Rimango a lavoro fino all’una poi torno a casa, sgranocchio pizza avanzata, ri-esco, uomo nero, pensieri, ditta di nuovo, conferenza.

Inizio a seguirla 20 minuti dopo perché al solito, le cose organizzate in cui “è facilissimo partecipare”, come scrivono i mercanti di fumo, non funzionano mai come si deve. Ti dicono “basta cercare questo e ti compare quello e clicchi play” e tu lo fai però, stranamente, ti ritrovi solo con link che rimandano ad un video parodia di Miley Cyrus e ad uno con un’orca assassina ripresa in un parco acquatico. Grossi dubbi su entrambi.

Partono chiamate su chiamate, risponde gente che dice che quello è in pausa, che lascerà detto, che tra dire il fare c’è di mezzo il mare rosso di sera bel tempo si spera chi troppo vuole poi…nulla stringe. Recupero un tizio in un ristorante che stava al dessert che mi fa girare da un cinese una mail con un link quindi mi collego anche se nel frattempo la mia postazione è circondata da bancari che discutono con la Capa discutendo di fatturati e bilanci, bevendo caffe, sgranocchiando i pistacchi che di solito rubo a manciate. Mi faccio largo, mi siedo di fianco ad un ex-brooker, infilo gli auricolari, mi isolo ad ascoltare tecno-cazzate di un ingegnere del marketing per due ore.

La cosa mi distrugge, quando mi alzo e torno giù senza salutare nessuno, spero di starmene tranquillo nella mia storta-postazione per un paio di ore. Mi ritrovo il laser acceso che butta gas plastici puzzolenti sotto la mia sedia. Il portone è aperto e la temperatura supera a stento i -243 dello spazio profondo.

Sto li fermo in piedi per qualche istante, poi mi rivolgo a Teo.

“Adesso lo spegni vero?”
“Ne devo fare altri cinque fogli”
“Mi levo dal cazzo ciao”

Timbro alle 16:13 ed esco, non saluto nessuno. Torno a casa, guardo dentro la cassetta delle lettere. C’è un fogliettino giallo e rosso, con il mio nome sopra anche se la ‘S’ è scritta al contrario. Mi informa che il tizio nero aveva davvero un pacco per me…che forse passeranno domani, che se ci pensavo un attimo in più a tutta la situazione non ci sarebbe stato bisogno di sprecare un quadratino di cellulosa adesiva.

Avrei potuto avvicinarmi e chiedere se cercava qualcuno…domani in casa non ci sarà nessuno…non avrò mai quel pacco.

Avrei potuto chiedere. Invece no.

Mi sa che le persone non mi piacciono.