243° giorno – Silenzio

Ero nella parte più profonda di una caverna quando ho sperimentato il buio e il silenzio più assoluto per la prima volta. Abbiamo spento le luci, seduti su un pezzo di roccia gelida e sentivo il sangue muoversi nelle vene. Il nero e il silenzio riempono…riempono perchè sono cose a cui non siamo abituati quindi non è ‘nulla’ o ‘assenza’ ma sensazioni nuove che si infilano nella mente…il nero cosi assoluto che sembra quasi fisico, il silenzio che rende le orecchie ovattate e rumori minimi che non avevi mai sentito come il battito, il tuo cuore, il tuo ‘Tum-Tum’ nelle orecchie…non è piacevole…preferisco avere il rumore, quando devo concentrarmi, pensare, tentare di dormire…una macchina che passa, ronzii sommessi di macchinari per purificare-riscaldare-raffreddare aria…dio quanto dormo bene nelle cabine delle navi e il suono del condizionatore…o le estati con il ciclico fruscio del ventilatore…il brusio di un soffione che rilascia acqua ad alta pressione nella mia vasca preferita…un po’ più in alto…un po’ più in basso come un’astronave in partenza o che sta spegnendo i motori…e la luce poi…i fari delle auto, la luce che si infrange nelle persiane e le lame ambra sul soffitto di casa…sempre sognato di una camera d’albergo con i neon fuori e lampi verdi e rossi sulle pareti e sugli specchi.

Ieri non riuscivo a prendere sonno. Ero da basso…non ci dormo mai…e c’era silenzio…la lavatrice era spenta, spine, ciabatte, attacchi…tutti staccati…nessun fruscio elettrico-elettronico…sono stato sveglio ore fissando il gioco di ombre delle lampade che reagivano alla debole luce dei lampioni del giardino, finchè non si sono spenti, poi troppo buio e troppo silenzio. Stamattina, senza dire nulla, ho attaccato il frigorifero. Dentro non c’è nulla…quindi totale spreco di watt, volts, energia e petrolio ma almeno stanotte, avrò un brusio amico nella testa.

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200° giorno – Coscienza

La luce dell’hard disk portatile si illumina intermittente e un’altra lucina, quella della coscienza, mi viene a dire che dovrei alzarmi per il bene del sonno di Sorella, staccare il cavo che si ostina a prendere elettricità da qualche parte, come la presa multipla in anticamera che inonda piastrelle di luminescenza rosso Shining o i mille lettori, mangiadischi, schermi e led, mini lampadine RedGreenBlue…tutta roba che succhia cents dall’IBAN dei miei per colpa mia, che sono le uniche cose davvero senza sonno in questo mondo, vivendo ventiquattrosuventiquattro, settesusette, dodicidopododici e unoepoiuno bruciando da due lati come le candele che illuminano il doppio.

Dovrei alzarmi. Dovrei alzarmi anche per mia madre e le sue fobie che pare che negli ultimi giorni, novelli Lupin se ne stiano in giro per le case anche in pieno giorno a fare l’inventario di cassetti, armadi, doppiofondo nascosto, antro dietro quel quadro con rotella numerata. Pare che forse siano entrati dal cugino di un amico di un conoscente di Rita…te la ricordi no? Rita…ma si…quella che faceva palline di Natale per il mercatino…no no…non quella…quella è Paola…Rita è bionda…il figlio grande fa architettura…proprio bel ragazzo…alto poi…bhe fatto sta che la porta va chiusa con tutte le serrature disponibili e io di solito lo faccio ma poi a letto non ricordo se l’ho fatto davvero e a dirla tutta…me ne dimentico pure di giorno che esco per andare a lavoro senza fare nemmeno un giro di chiave, nessun pezzo di metallo che si infila nel muro e io sono ormai troppo in ritardo e lontano per tornare indietro…anche se ammetto di avere un ‘punto di non ritorno’ troppo vicino a quello di partenza. Dovrei dovrei trovare metodi per ricordarmi di farlo o di averlo fatto. A volte ci riuscivo piazzando gesti inconsulti dopo aver chiuso un paio di mandate di chiave potenti…facevo tre passi all’indietro o cantavo una filastrocca…roba folle che spezzava la routine dei gesti meccanici cosi potevo starmene tranquillo…ma ora mi dimentico pure di fare quello.

Sarà per chissà cosa, sarà per il periodo di transizione in cui vivo il distacco, come se le cose succedessero solo agli altri e a me no, tutto tranquillo, blanda incoscienza. Che rimanga cosi mi dico, mi giro lato sinistro con sordità e muro davanti ma poi però…a pensarci scappa da pisciare e la dogana in vescica sembra quasi intenzionata a tirar su palette. Faccio quel che ho da fare di là, tra rotoli di carta morbida e tavolette in finto legni copri buco. Poi, punto a spegnere la lucina faro.

Ritornando a letto, al buio, con missione compiuta in saccoccia, urto ciabatte e oggetti…provoco tumulti, sveglio gente, incasso offese e la coscienza mi sta sul cazzo.

199° giorno – Fase REM#3

In macchina mi addormento sempre troppo facilmente nonostante i G di accelerazione di queste curve prese a cannone dal pilota, il rumore e tutti quei quadranti e lucine blu e verdi. Appoggio la testa sul sedile e mi ritrovo in una stanza con tappeti alle pareti che si allungano per almeno un metro sul pavimento. Sembrano dei persiani ma con abuso di fucsia e bianco. Ogni tanto da dietro i tessuti spuntano dei fregi di legno in foglia d’oro verticali e sinuose. In mezzo alla stanza una colonna tutta fregi e spuntoni é completamente rivestita di stoffa con fantasia floreale, rotta solo ogni tanto da piccoli specchi. Cerco un’uscita ma nulla da fare…sembra di girare in tondo.

All’improvviso sono fuori…c’è un tizio, un ragazzino olivastro magro e a torso nudo…agitato…che mi parla mentre l’atmosfera è inondata di polvere e luce solare. Non capisco quel che dice ma vedo che in mano ha una scatola. Gliela prendo perché intuisco che si tratta di una bomba…la butto dentro un buco nel marmo che trovo tra quei gradini dove sto in piedi…acqua verde davanti, colonne dietro, un tempio. Da una collina bianca ecco scendere camion gialli con un cassone bianco perfettamente quadrato…so che stanno venendo a distruggere il tempio, sono alti 3 piani. Ma quando arrivano di fronte, cipressi viola messi dentro aiuole triangolari bloccano la strada.

Io allora corro dentro il tempio e ora davanti ho una stanza larga e bassa dove, sul soffitto, fenicotteri bianchi dal becco rosso camminano a testa in giù mentre per terra, ciottoli dorati galleggiano in un acqua verde insieme a foglie d’acero rosse.

Mi sveglio che quasi sono arrivato e sui sedili davanti si parla di Roger Waters e famiglie inglesi. Scendo dalla macchina e saluto, di fronte al cancello di casa mia. Hanno cambiato le luci del vialetto in questi giorni…ora sono fredde e pallide.

Se c’è una cosa che il sole insegna, è che il colore giusto per queste cose è il giallo.

152° giorno – Letargo

Questa pagina di diario oggi sarà corta per scelta e non per pigrizia anche se lo ammetto, negli ultimi due giorni pigro lo sono eccome che non mi alleno, non esco, ozio e guardo tv sotto luci ambrate mezzo addormentato sul divano mentre rinvio appuntamenti, declino inviti. Mi viene quasi voglia di andare a dormire presto, mi viene voglia di escludere il resto del mondo, mi viene voglia di darmi malato ad ogni compito, domanda, impegno che mi riguarda. Forse sono malato davvero, mononucleosi tipo. Oppure, quel mal di pancia e quella tosse si stanno per trasformare in qualcosa che mi farà dormire e dormire, piano piano, sempre più ore e una volta sveglio, sarà già tempo mare. Letargo, il che sarebbe un peccato, che la vita è così breve.

Come questo pezzo, ma più interessante.

119° giorno – Fase Rem

Scorrono insulsi minuti di un’insulsa giornata in cui penso pateticamente che potrei fare qualcosa da solo ogni tanto, che prima ci riuscivo a tenermi compagnia abbastanza bene ed invece adesso mi sembra di no.

Ho un lettore di brani musicali digitali carico, una macchina fotografica carica, un carico di sogni e angosce quindi la cosa giusta da fare sarebbe prendere e agire, bello carico e uscire, correre carico, scattare foto ai muri e saltarli carico ascoltando rock che carica ma mi sento inchiodato e quindi allenarmi no, fare foto no. Potrei scrivere ma no.  Scarico.

Non è che sono depresso o meglio, lo sono ma non è uno di quei giorni a tinte scure, telefono che squilla e non rispondi, ti parlano ma non ascolti e rispondi “Si dopo” a qualsiasi domanda.

No non è così.

Sento una mia amica. “Mare?” “No”

Sento una mio amico. “Mare?” “No”

Rimango sdraiato. Forse oggi il mio letto mi piace più del solito e il mio corpo mi sta ordinando di non alzarmi. Chiudo gli occhi e mi ritrovo un’odalisca bionda che mentre ondeggia il culo denso di pizzo e perline, chiede i soldi a qualcuno seduto ad una scrivania. Un uomo grasso, con i baffi grigi, gilet da pescatore in pelle chiara, camicia a righine e occhiali da vista polarizzati. Comanda questo mercantile con timone a vista tutto chiazzato bianco e nero come fosse una mucca e dentro la stiva c’è una festa con tanto di palla dance oldstyle. Neanche il tempo di ambientarmi che parte la scazzottata immediatamente. Mancanza di humor degli invitati, un classico. Un tizio alto e stempiato si alza di scatto da una sedia da giardino pieghevole bianca, rovescia bicchieri da un tavolino e mi urla “ma che cazzo vuoi!” e mi tira un destro in faccia.

“Ma non è che sono apatico e asociale?” chiedo a Sorella, mezza addormentata.
“No…” risponde con voce tra fase rem e rabbia.
“Ma quando non sto giù con voi…con gli altri…e me ne sto qua…neanche in quel caso?”
“Non ti si vede da sei mesi…mi sa di si allora…”

Deve essere così, perché questo letto non è che mi piaccia poi così tanto. Ci sto tipo stretto, le braccia le devo tenere tutte piegate, la schiena fa male perché sul materasso c’è un fosso. Credo lo noti anche questo melone con i bocca e baffi da messicano che ho di fronte. Sembra Mr. Potatoe ma con il sombrero. Lo vedo dal basso, come se mi calpestasse continuamente passo dopo passo, in salita, mentre porta uno zaino enorme in spalla che occupa tutta la visuale. Digrigna i denti e suda, gocce perfette e irrealistiche da fumetto. “Mi sa che sto dormendo” mi dico mentre dormo.

“Potrei provare a stare sdraiato da basso quando ci sono gli altri, sul divano..ma anche quello non è che mi piaccia così tanto. Sento che non potrei alzarmi neanche impegnandomi ecco la verità…ma non è che sono apatico e asociale?”. Sto parlando di nuovo a Sorella. Saranno passate due ore, mi sembra ci sia meno luce. Da stamattina non so nemmeno che tempo faccia nella stanza affianco.

Sorella non risponde, dorme.

“Certo che sei proprio apatica e asociale…” le dico mentre cerco una posizione comoda per dormire. Ma non ci riesco, non riesco ad addormentarmi.

“Non è che questo letto mi piaccia così tanto” dico al melone gigante messicano.

117° giorno – Silenzi

Di tutte le domande che rivolgo agli oggetti inanimati della mia camera in penombra, neanche una riceve risposta. Di certo può sembrare stupido che un essere umano grande e grosso come me finisca a parlare con delle cose, rintanato su di un letto troppo piccolo. Non mi importa.

Ho la nausea, forse sbaglio a stare sdraiato, ma non so che fare, sono stanco. Le gambe non rispondono bene e anche se mi alzassi non saprei dove andare, vorrei solo spostarmi in un altro punto dove sdraiarmi nauseato. La nausea…
Sarà il panino? O il dolce? O il secondo viaggio dell’estate tra scatole alla ricerca di un sogno? È l’ansia? È questo vento di pioggia che entra dalla finestra?

C’è vento e vento. Quello che rumoreggiava nella Peugeot 206 celeste, questa mattina, era caldo e violento sapete, la velocità. Ora invece c’è quest’aria fredda e sommessa che si insinua tra le persiane e che porta rumori leggeri. Una saracinesca che si muove, vestiti stesi ad asciugare, porte che sbattono. Forse è davvero colpa del vento la nausea anche se ormai, la vivo ogni giorno. Ai miei amici oggetti piace questo vento, li sento che confabulano sommessamente, si scambiano opinioni, scherzano. Sono simpatici i miei amici “cose” anche se non parliamo molto. Sono tutti simpatici tranne lui, il ventilatore.

Sta alla mia destra ed è quello che sta più zitto di tutti. Il grande lampadario giallo ha delle piccole frange che sbattono leggermente, il vecchio letto cassapanca scricchiola, l’armadio muove le ante. Per non parlare della porta, sempre al centro dell’attenzione. Solo il giovane con le pale rimane muto, come quando un bambino cambia scuola, entra in una nuova classe e sta zitto. Quando gli altri parlano, sta in classe da solo durante la ricreazione, torna a casa a piedi in silenzio, con la testa giù mentre gli altri scherzano e saltano nelle pozzanghere.

“Dimmi qualcosa, qualsiasi cosa…” gli chiedo, per spronarlo a socializzare con gli altri.

Niente.

Ma forse è meglio, ogni tanto, stare un po’ in silenzio.

Quasi quasi, chiudo anche gli occhi.